My first Liebster Award!

Liebster AwardCiao ragazzi! Ecco qui, non vedevo l’ora di dirvelo! E’ arrivato il momento del mio primo Liebster Award! Quando Viola di Opinionista per caso Viola mi ha nominata, ero così felice ed orgogliosa di tutto il lavoro svolto qui sul blog e sono anche orgogliosa di avere dei lettori con cui condividere le varie esperienze cinematografiche. All’inizio avevo in mente tutt’altro post, in realtà si trattava di un video, ma per questioni tempistiche e per gli svariati impegni che ognuno ha, ahimè, quotidianamente, non ho potuto dare seguito al mio progetto, anche perchè la notizia poi sarebbe stata tutt’altro che fresca se ci avessi impiegato troppo tempo! Mi dispiace tantissimo, spero di riparare al più presto! 😉 Comunque, è tempo di partecipare a questa bella iniziativa! In immagine le regole, facili e veloci.

Hi dudes! Got it! My first Liebster Award! When Viola from Opinionista per caso Viola mentioned me for the Liebster Award, I was so happy and proud of my little work on this blog, who is growing day by day a little more, and I was proud of my readers sharing so far all kind of cinema experience with me. At the beginning I thought to write a post in a different way from what I’m gonna to do now, but because of hundreds tasks I have to do daily, I didn’t got time to make a video about and time goes faster, you know, and this news risked to be not so new anymore 😉 Hope to do someting special for you next time, feel so sorry! Anyhow, here the rules to partake in Liebster Award 🙂 Let’s do it! my first liebster award

  1. Perchè hai aperto un blog? Ho aperto il blog subito dopo l’esame di maturità. Avevo voglia di dare sfogo alle mie opinioni in fatto di cinema (perchè molti film hanno segnato delle tappe importanti della mia storia, cosa che presto vi racconterò 😉 ), perciò mi sono fiondata a scrivere recensioni di film. All’inizio non sapevo nemmeno cosa significasse occuparsi di un blog, io scrivevo e basta ( ed ero un po’ cattivella perchè avevo sempre qualcosa da ridire su qualunque film! XD). Ora invece sono maturata grazie anche a questa esperienza in cui cerco di mettermi in gioco, ho sviluppato dei gusti tutti miei, alcuni sono rimasti dalla mia adolescenza, altri sono mutati, ma in ogni caso cerco di assecondare i miei desideri artistici ogni volta che apro il blog e decido che esperienza condividere con i miei lettori.
  2. Ci parli un po’ delle tue passioni? Sono una persona molto poliedrica, mi piace fare tante cose contemporaneamente. Ciò che preferisco fare è sperimentare e mettermi in gioco in vari campi che, dopotutto, posso considerare essere le mie passioni: disegnare, scrivere, girare cortometraggi. Ma nulla mi vieta di prendere ago e filo e creare o di recitare. Le mie passioni sono mutevoli, considero passione ciò che sento il bisogno di fare in un determinato momento. Infatti il mio hashtag è #cinemaliquidolovesnewexperience.
  3. Quanto pensi che le interazioni e i commenti siano utili per un blogger e in che modo? Sono fondamentali. Comprendere gli altri e farsi comprendere è alla base dell’istinto animale e noi, volenti o nolenti, lo siamo. Capire i punti di vista altrui è fondamentale ancora di più per un blogger, che deve fare da guida ai suoi lettori e deve essere aperto ad ogni stimolo esterno; e gli altri blogger sono uno stimolo importante perchè c’è sempre qualcosa da imparare.
  4. Di cosa parli nel blog? Ciò che mi affascina di più sono i cortometraggi, la vera essenza di un regista, perchè in pochi minuti deve farsi comprendere e deve colpire nel cuore dello spettatore. In più adoro i fashion shorts, infatti nel mio blog c’è tutta una sezione in merito; credo che sia un genere astuto che sa prendere le finalità della pubblicità mischiandole alla creatività del cinema. Se qualcosa nella cinematografia mi colpisce particolarmente, nel bene o nel male, voglio condividerla con i miei lettori e perciò nel blog troverete la recensione ma anche la curiosità su costumi o make-up e i vari retroscena.
  5. Hai creato un rapporto d’amicizia con le altre blogger? Diciamo conoscenza, soprattutto grazie ai commenti. Molte volte è attraverso i commenti che viene infusa sicurezza o qualche critica costruttiva o semplicemente si fa una chiacchierata, come in un’amicizia.
  6. Vi siete mai conosciute personalmente? No, ma i sentimenti vissuti a lunga distanza non mi dispiacciono XD
  7. Come immagini il tuo blog tra due anni? Lo vivo giorno dopo giorno e non ho un’immagine ancora chiara di Cinema Liquido, sto ancora scoprendo tutte le sue potenzialità, quindi dire che vorrei vederlo crescere è scontato. Credo che però mi darà degli ottimi strumenti per raggiungere i miei obiettivi e per crescere sotto vari punti di vista.
  8. Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo? Credo che mi incuriosirebbe vederlo cambiare insieme a me, anche se un po’ si sta già orientando verso temi e modi che più si addicono alla mia personalità, molto cambiata da quando l’ho aperto.
  9. La cosa che sai fare meglio? Non piangere davanti ad un film strappalacrime XD
  10. Quanto tempo dedichi al tuo blog? Scrivo un giorno sì e uno no e nel giorno no ci penso spesso.
  11. Come nascono i tuoi post? Navigando sul web trovo sempre qualcosa di interessante da cui partire per scrivere. Ma le persone che conoscono le mie passioni spesse volte condividono con me argomenti affini a ciò che più mi interessa, perciò prendo ispirazione da quello che hanno visto o da ciò che li ha maggiormente colpiti andando a vedere un film per mutarlo in materiale utile anche per miei lettori.
  1. Why did you open a blog? I opened this blog after graduating at high school. I like giving my opinions and at the beginnings I usually wrote only reviews (and I was a little bit bad when I had to talk about some movies). Movies always scar different moments in my life, but this is another story. My tastes are changing day by day, some are always the same, anyhow I try to go along with my wishes everytime I’m on the computer writing what I’d like to share more with my readers.
  2. What are you most fascinated by? I like doing everything: writing, drawing, shooting…but nothing forbids me to start sewing and creating something new. My passions change a lot during the time, I think passion is what you need doing at that right moment. In fact my hashtag is #cinemaliquidolovesnewexperience!
  3. How much comments are useful for a blogger? They’re so useful! Understanding people, their points of view and needs is the basis of communication, especially for a blogger who has to be open-minded to collect as ideas as possible from other bloggers or people in general.
  4. What are the main topics in your blog? I’m fascinated by shorts because they have to show you a situation, a world completely different from yours, in few minutes. They’re a great mix beeween ads and movies. But I usually talk about all that thrill me for better or for worse; a movie, a making of, some tips, my points of view about actors, characters, my fav movies or opinion polls; I like ranking everything, such as the best make-up or the best dress 😉
  5. Have you ever made friends with other bloggers? Actually it has not happened yet, but when I write comments I usually try to be honest or give some advice or simply have a conversation, just like a real friend.
  6. Have you ever met other bloggers? Not yet, I like having feelings away XD
  7. How do you imagine your blog in the future?  I’m keen on seeing my blog growing up day by day. I have not yet a clear idea how it will be because I’m still finding out all its potential, but I think is a good way to improve my skills about writing and blogging and to give myself a challenge.
  8. Would you like seeing it changing? Of course! Actually I’m trying to change it according to my passions and my character, because I’ve been changing a lot since I opened Cinema Liquido.
  9. What’s the best thing are you able to do? I’m unable to cry everytime I see a sad movie XD
  10. How much time do you spend blogging? I usually post every other day.
  11. How do you write your posts? Surfing the net I always find out some interesting topic! But I usually buy some magazine about movies and I try to get inspiration from people’s tastes.

E ora le mie domande e le mie nomination 🙂 Now my questions and nominations! 🙂

  1. Perchè hai dato questo nome al tuo blog?/ Where does the blog’s name come from?
  2. Segui blog stranieri?/ Do you follow foreign blog?
  3. Cosa speri di ottenere da questa esperienza con il blog?/ What do you expect from your blog?
  4. La maggiore soddisfazione che hai avuto col tuo blog?/ What’s the best satisfaction you have been having with your blog since the beginning?
  5. Perchè hai deciso di aprire un blog?/Why did you open a blog?
  6. Quali sono gli argomenti che ti piace trattare nei tuoi post?/ What kind of topics do you like to talk about on your posts?
  7. Quali sono gli elementi fondamentali per creare un buon blog?/ What are the most important elements to make a great blog?
  8. Come pensi sarà il tuo blog nel futuro?/ How do you think will be your blog in the future?
  9. Ti sei mai scoraggiato nel tuo lavoro di blogger?/ Have you ever had difficulties with blogging?
  10. 3 aggettivi per definire il tuo carattere./ 3 adjectives to describe you.
  11. Il tuo film preferito?/ What’s yuor favourite film?

I blogger di cui non vedo l’ora di leggere le risposte alle domande sono:

  1. Coolsville
  2. Sinekdoks
  3. Francesco Fiumarella
  4. Review by Dave
  5. The Movie Talk Blog
  6. Monticiana
  7. Ilaria Rodella
  8. Per un pugno di cazzotti
  9. wwayne

Bloggers, vi ho scelto perchè vi considero fantastici e mi ispirate molto con i vostri lavori! Vi auguro tanta fortuna 😉 Good luck bloggers! I like reading your posts and you’re inspiring me so much! 😉

Review: Big Hero 6

Se la computer grafica aveva toccato già alti livelli con Up!, con Big Hero 6 la Disney dà il meglio di sè e ci regala un film all’avanguardia, sia per l’alta tecnologia impiegata nel processo creativo, sia per quella mostrata, vera protagonista. Sì perchè l’unico pregio delle produzioni americane, a paritre dai telefilm fino all’animazione, è quello che più mi affascina, ovvero la loro capacità di inserire temi attuali come ricerche scientifiche e ultime tecnologie ponendole alla portata del pubblico. Un esempio? I robot che appaiono fin dall’inizio del film, i microbot, il robot infermiere che salva vite umane, i protagonisti che parlano con linguaggio specifico di materiali d’ultima generazione, innovativi, elencandone tutte le particolarità e l’utilizzo della stampante 3D da parte dello stesso protagonista, magnetismo, viaggi nel tempo e perchè no, la mania globale del selfie. Tutta tecnologia futura plausibile a livello scientifico, suggellata appunto da ricerche che hanno aiutato i produttori alla realizzazione del film. La realtà si fonde e combacia perfettamente con la creatività, con il futuro (tempo in cui è ambientata la storia) e con l’innovazione nel mondo reale. Un mix perfetto di cui può essere artefice e maestro solo lo stile americano. Di conseguenza questo tipo di cartone è adatto più che altro ad un pubblico adulto-giovane: il target non sono tanto bambini, come per i vecchi film. Di fatto sono pochissime le scene di comicità infantile. Certo questa ostentazione di tecnologie è volutamente uno sprone rivolto ai giovani ad interessarsi di questi temi. Non a caso il film è ambientato in una città che unisce le due capitali d’Oriente e d’Occidente: San Francisco (e le sue strade collinari) e Tokyo (patria della tecnologia d’ultima generazione). I nome dei protaginisti, inoltre, sono giapponesi: tutti chiari riferimenti reali alla rivoluzione tecnologica che il Giappone sta apportando alle culture mondiali e chi meglio dell’opulenta America occidentale ha gli strumenti per rendere business a livello planetario un’idea o un’innovazione?

La storia e i protagonsiti sono volutamente ordinari, agiscono sulla base di una trama ordinaria (supereroi Marvel da cui è tratta l’idea originale: cinque ragazzi, un robot, tanta creatività e intelligenza, un cattivo); la vera protagonista è la tecnologia, le potenzialità dei giovani e la loro voglia di creare e di rompere le regole della fisica e della chimica, lo sperimentare (non esistono forse concorsi e premi scientifici a cui partecipano tanti giovani come Hiro che hanno un’idea potenzialmente rivoluzionaria?). La Disney prende spunto dalla realtà e la ripropone amplificata in un cartone animato, provando a tessere le file di un probabile futuro reale in cui vivremo. Geniale no? I valori sono cambiati e giustamente si deve stare al passo con i tempi: non più fiabe in cui insegnare ai bambini ad avere coraggio e ad essere forti e rispettabili, alle bambine a sognare il principe azzurro, creando così una forte distinzione di genere. Ora sia ragazzi che ragazze sono chiamati ad esprimere al meglio cosa possono plasmare con la tecnologia. Ba-la-la-la-la a tutti 😉

Technology is the main character in Big Hero 6. Disney has decided to get real scientific researches from the reality, trying to create a future that is possible also in our real world. Disney productors have made many different researches about the hero Baymax made of innovative materials (as you can see in video above). But there are also other types of technology such as microbot, 3D printer, and why not? The selfie mania! And also the place where the plot is set is a mix amoung Tokyo (country of technological ideas) and San Francisco (America always exports trends all over the world): San Fransokyo. Disney has proved that knows how to move with the times and if once Disney used to pass down to old generations values like power and bravery for boys and true love for girls, now the value is the same for boys and girls: imagination and talent.

Disney and American films production have not great ideas as in the past, but with Big Hero 6 Disney has improved its ability in motion capture to create a high technological movie, starting in the past with another wonderful technological animation movie like Up!. Ba-la-la-la-la to everyone 😉

Review: Non ci resta che piangere (Nothing left to do but cry)

I think Non ci resta che piangere (Nothing left to do but cry) is the best Italian comedy in the 80s. And it takes its wit from old Italian comedy by Totò in the 50s. In fact the scene when Mario (Massimo Troisi) and Saverio (Roberto Benigni) are writing a letter to Savonarola takes from a film by Totò. Roberto Benigni acted also in To Rome with love by Woody Allen. I’d like to show you some scenes from this film: evey time I see it, it makes me die from laughing. Big part of this film was performed extemporazing the lines they had to act according to the script. For example the scene below was extemporazied. The customs officer every time he sees someone who is crossing the road, always asks “Who are you? Where are you from? Where are you going? One pound (fiorino)”. The couple of friends is not able to cross the road because every time they try, something always fall down from the wagon, and they always have to pay to get back their items. Finally the couple run away shouting out “Fuck you!”.

Another funny scene is the meeting with Leonardo Da Vinci.

Or the meeting with a priest; “Remember! You have to die!” “Ok” “Remember, you have to die!” “Ok, keep calm man!” “Remember, you have to die!” “Sure, wait a minute, I’m gonna to take note!”

Another funny scene is set in a church, where men always chase up the girls by gazing them up.

And finally the masterpiece: the letter to Savonarola asking him to free a friend of theirs.

Did you enjoy this film? I couldn’t find the English version, but some scenes are subtitled in English, like the last one below.

Review: Mademoiselle C

I think images are the best way to learn ever. So why don’t create a review with almost only images? And this is the perfect time to do that, because we’re talking about fashion world and one of his guru, ex editor-in-chief of Vogue Paris, Carine Roitfeld. While cameras are filming Carine’s work for the future film, she’s dedicating herself to a personal project to found a new fashion magazine called CR Fashion Book , a magazine devoted to her visionary sartorial fantasies. Review: Mademoiselle C

Carine decided to collaborate with the director Fabien Constant on the documentary Mademoiselle C for two reasons: to record the development of CR, and to show, unlike some other infamous documentaries, that ‘fashion can actually be quite a nice world’. The video below will show you the main important people around Carine and her job.

Carine had to leave her job on Vogue Paris for this kinda photos: children with adults attitudes.

Review: Mademoiselle C

Review: Mademoiselle C

“I’m Parisian. It shows in my style and in the style of my photos”

Carine’s work’s based on take photos and give new perspective of daily themes such as childhood, birth, maternity, death and others similar.

Review: Mademoiselle C

Carine is showing to the model the movements to do to seem as much as possible an angel

Review: Mademoiselle C

Here theme of death. This shooting was taken in a real cemetery

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Review: Mademoiselle C

This photo was shot while the baby was pissing on the girl’s skirt!

 

Review: Mademoiselle C

Theme of the family in the countryside, in a pastoral perspective

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Review: Mademoiselle C

This is the pregnant Carine’s daughter used to develop maternity’s theme

 

Review: Mademoiselle C

Maternity theme

 

 

 

 

 

 

 

 

Review: Mademoiselle C

Cinderella by Dina Goldstein

I think many photos get inspired by a Canadian photographer Dina Goldstein who usually desecrates Disney cartoons, like Carine has right done in the pic below filming Sleeping Beauty.

Review: Mademoiselle C

The waitress in the corner is the personal one of Lagerfeld

 

 

 

 

 

 

 

 

This documentary is just like all the others about fashion, such as Valentino “The Last Emperor”, Lagerfeld Confidential, Diana Vreeland: The Eye Has to Travel, so all of these show us fashion backstages before catwalks, where all work of people behind the scenes is always a race against time, where all fashion stylists are like geniuses who always have nothing to regret, living with a passing and rich people always have nothing important to say. So fashion is always linked to affluence.

Review: Mademoiselle C

Donatella Versace is talking with Carine about a Cocktail Ring

Review: Mademoiselle C

Karl Lagerfeld is showing to the grandma Carine how much he likes babies

 

 

 

 

 

 

 

 

Review: Mademoiselle C

Sarah Jessica Parker, Karl Lagerfeld, Carine Roitfeld

Review: Mademoiselle C

“I’ve a very calm life: after 30 years I’m still with the same man”. Carine aims that her erotical shots are only pure fantasies by her artistic imagination and not real experiences

In the end all kinda fashion documentaries seem the same but Made In Milan by Martin Scorsese. In fact Giorgio Armani gives us a different perspective of fashion, where showbiz is far far away from his art vision and his lifestyle: so no famuos people, no portrait of an iron man without fears, but a great art genius, remembering his poor childhood, his roots and the birth of his passion linked to cinema (“Life is like a movie and the clothes are like costumes”. “I have always paid much attention to the past of cinema, which for us kids was the only form of entertainment. I wanted to be a director“.).

Review: Mademoiselle C

Irriverent Carine just like Chanel

Review: Mademoiselle C

Shot for CR Fashion Book cover

Armani prefers an intimate way of working, paying attention to the materials, to the new trends, according to his point of view about fashion and elegance. He makes fashion and trends starting from simple ideas, as changing the way of wearing a jacket and its fit. Carine thinks up a different way of seeing fashion, instead of creating fashion. Why she’s called Mademoiselle C? Because she gets inspired by Coco Chanel, an icon of irreverence and reinvention. Though her status was not as muddied as Chanel’s, her often erotically charged style, dubbed ‘porno-chic’ and escapist approach to fashion was deemed out of keeping with the realities of the recession. 

Review: Mademoiselle C

“I think you can always surpass yourself”.

 

Review: Mademoiselle C

Taking a photo for CR Fashion Book

 

 

 

 

 

 

I like fashion and art and Carine’s works as a photographer and journalist. But I think many ideas behind a project can’t be understood sometimes at all, maybe because the artist have not a real idea on what do.

 

Even if…: Maleficent

Maleficent by Robert Stromberg does not leave one’s mark, but is likely to tire. Conversely Sleeping Beauty is fascinating more and more generations during the time. In favor of Maleficent we can just write about the original (and gone waste) idea to show us the story through Maleficent’s point of view, something like a spin-off in live action, although it has been lost lot of poetry was in the original Disney cartoon. Another great idea, this time gone waste too, was to show the female independence, a theme not at issue in traditional Disney cartoons that have been made in the past, when there was a different idea of women, usually leaning toward sexism. In spite of everything, Maleficent has not soul, it cannot excite us, it seems to be only a marketing product. Soundtrack by Lana del Rey Once Upon A Dream is the unique good aim.

Even If: MaleficentMaleficent di Robert Stromberg non lascia il segno, annoia soltanto, a differenza dell’originale cartone Disney del 1959 La bella addormentata che ha affascinato sempre più generazioni col passare del tempo. A favore di Maleficent, remake di una delle classiche fiabe disneyane, ci sono due idee di fondo male sfruttate a favore della politica marketing che ha ridotto la poesia del cartone originale in uno spin-off live action. La prima è l’idea di narrare la storia dal punto di vista dell’antagonista, ovvero Malefica. Tuttavia il film non riesce ugualmente a stupire, risultando piatto, nonostante Angelina Jolie abbia dichiarato di avere lavorato al meglio sulla rappresentazione delle dualità del personaggio. La seconda buona idea sfruttata male è il tema dell’ emancipazione e indipendenza femminile trasmessa dal carattere autoritario e vendicativo di Malefica, sfumatura che nei cartoni della Disney non è mai stata così marcata (negli anni ’60 knfatti non si può ancora parlare del tutto di emancipazione femminile come oggigiorno). In questo film, nonostante la tecnologia e le ambientazioni gotiche che ora vanno di moda in tutti i remake disneyani, non c’è la benchè minima poesia che era presente nel cartone originale, ma solo un’evidente strategia di marketing, come da programma del resto. Unica nota positiva la colonna sonora Once Upon  A Dream firmata da Lana del Rey.

 

Reviews: Only Lovers Left Alive

Image

Jim Jarmusch parla di un’umanità in declino facendo un insolito uso del tema del vampirismo. Fino ad oggi metafora di desideri inconsci da appagare che portano l’uomo ad allontanarsi dalla sua stessa natura limitata (cfr. Dracula di Bram Stoker), il vampirismo in Only Lovers Left Alive diventa una condizione che nobilita l’animo e l’intelletto dei protagonisti; sono Eve, Adam e Kit i vampiri che fungono da custodi della sapienza accumulata nei secoli dall’uomo, apostrofato ora come zombie. In questa prospettiva capovolta in cui lo zombie senza vita nè intenzioni è l’essere umano amorfo, indifferente e assuefatto dai vizi, il regista dà una sua chiave pessimistica di lettura: l’uomo non conosce che il degrado e da ciò che ha creato verrà distrutto.Only Lovers Left AliveChi può conservare e comprendere la purezza dell’ingegno umano è una creatura borderline, che vive nascosta ed emarginata, che quasi non si sente umana perchè differisce da quelli che sono i parametri di riferimento; è un vampiro, ovvero un uomo che si sente diverso dal resto del mondo. Tuttavia nemmeno Jarmusch fornisce una soluzione al problema della decadenza dell’essere umano: la storia di Eve e Adam rimane fine a se stessa, senza risvolti consistenti, chiusa in un confine impenetrabile allo spettatore. Il regista non ci coinvolge a pieno nella vicenda, rende i personaggi impenetrabili, contriti in una rabbia nota solo a loro, non sviluppando di per sè valide motivazioni che spingano anche il pubblico ad empatizzare col loro malessere. Non basta sentire sparsa qua e là nei dialoghi la parola “zombie” come insulto rivolto agli umani, o il rancore di Kit verso Shakespeare, o ancora le invocazioni di Adam all’Epoca d’Oro.Only Lovers Left Alive Il film rimane una metafora impenetrabile, difficoltosa da comprendere e da sciogliere, in cui i personaggi sembrano sfuggevoli e la trama poco funzionale al messaggio che il regista vuole trasmettere. E’ un film che non ha voluto scoprirsi e farsi scoprire, chiuso in se stesso in una critica poco costruttiva che non dà soluzioni al problema, statico nei tempi registici e nella narrazione. Lo stile di Jarmusch prevede tale staticità grazie all’uso di lunghi piani sequenze e ad ambientazioni sempre uguali a se stesse, poco mutevoli, che riflettono l’incapacità dei suoi personaggi di evolversi (in questo caso la stanza di Adam e i vicoli di Tangeri).Only Lovers Left Alive Tuttavia una scelta stilistica simile portata all’estremo, come in questo caso, può delineare personaggi con profili accidiosi segnati dall’indifferenza e quindi controproduttivi al senso del film. Il finale è tutta una dichiarazione d’intenti: Eve e Adam sono costretti a ritornare a “cacciare gli esseri umani” come nell’antichità, abbandonando il loro artistico savoir faire. L’uomo non potrà mai liberarsi del suo lato animale, quindi sarà sempre destinato al fallimento. Jim Jarmusch cerca l’innovazione, ma risulta essere poco incisivo.

Reviews: La Grande Bellezza

La Grande Bellezza
 

Here is again the review about La grande bellezza (The great beauty) by Sorrentino, that has won the Academy Award for Best Foreign language Film. 15 years ago Roberto Benigni won the same award with La vita è bella (Life is beautiful) and now Italy returns to the roots of its own art, with a quite similar theme: the beauty.
Decadentismo. Questa è la parola più appropriata da utilizzare per spiegare il significato del nuovo film di Paolo Sorrentino La grande bellezza, presentato con successo al Festival di Cannes 2013. Anche in quest’occasione troviamo un protagonista solitario, proprio come in This must be the place e ne Il divo: Jep (Toni Servillo), giornalista, scrittore di un unico romanzo di successo, grande estimatore della Roma ricca e mondana.
Il suo obiettivo è sempre stato quello di “non essere semplicemente un mondano” ma di “diventare il re dei mondani”. 


Ci troviamo di fronte ad un personaggio ambivalente e assolutamente ben studiato sotto ogni aspetto per rendere al meglio il dualismo di cui si fa portatore: l’abbigliamento dal gusto dandy e le feste frequentate ogni notte rappresentano il suo modo estroso di apparire, ma le sue riflessioni lungo le vie silenziose di Roma, lungo il Tevere, il suo accento napoletano che rievoca le sue origini e che talvolta lo riporta bruscamente col pensiero alla sua giovinezza e al suo primo amore, ci lasciano intravedere un lato sopito e timido di Jep, il lato umano che ci rende tali per definizione, che ci spinge a chiuderci in noi stessi e a fare il punto della nostra esistenza.
Jep è alla ricerca della bellezza, come ogni uomo su questa Terra; non si tratta di estetica, di materia, ma solo di spirito e di libertà. Una libertà che non ha nulla a che vedere col decidere a quale nuova festa si parteciperà, quale nuovo posto si visiterà, quale nuovo viaggio si farà, ma che riguarda esclusivamente l’animo. 
Così comincia il percorso catartico di Jep, all’età di sessantacinque anni, alla morte del suo primo e unico amore di gioventù, una ragazza conosciuta in vacanza, dalla quale, per la prima e ultima volta e per un breve istante, era riuscito a scovare quello sprazzo di bellezza pura che tanto ricercava. 

Da quel momento, trasferitosi a Roma, era stato fagocitato dalla vita benestante e aveva perso la strada per la bellezza. Jep può essere definito anche un uomo kierkegaardiano. Secondo il filosofo esistenzialista Kierkegaard l’uomo compie tre stadi per arrivare alla sua dimensione interiore: vita estetica (quella di Jep a Roma), vita etica (l’amicizia di Jep con Ramona, una spogliarellista quarantenne gravemente malata) e vita religiosa (l’incontro con “La Santa”, una suora missionaria). Questa ascesi dalla mondanità ai valori rende Jep un eroe decadente: egli vive nell’estetismo della sua ricca vita, ma anche nel superomismo quando aspira a diventare il re dei mondani. Il film ha per protagonista un novello Dorian Gray, un dandy alla ricerca della pura bellezza che ritrova, a differenza di Jep, in un volto fisico. 

Tuttavia Sorrentino non poteva rendere un protagonista in modo così preciso ed impeccabile senza creare il giusto contesto e i giusti personaggi che agiscono sulla scena.
Proprio per questo vediamo agire ogni tipo di personaggio, dagli amici scrittori alle donne in carriera, dai bambini prodigio alle ragazze immagine, dai boss della malavita ai cardinali, in un susseguirsi di ambienti diversi, dai locali mondani ai party del botox alle vie solitarie di Roma. Le scene che compongono il film sembrano non avere collegamento logico tra di loro, talvolta hanno come protagonista Jep, talvolta vedono protagonisti altri personaggi con le loro vicende personali; Sorrentino riesce proprio in questo modo apparentemente sconnesso a dare l’impressione del flusso incessante della vita, delle vicissitudini umane, dei pensieri e delle menzogne che popolano la nostra esistenza. 

“E’ tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura… gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”

Alla fine Jep avrà l’opportunità di comprendere: “La Santa”, suor Maria, è una missionaria che fa eco a suor Maria Teresa di Calcutta. Solo osservando la sua totale comunione con la natura, la sua devozione per ogni creatura vivente e la sua fede indistruttibile, Jep comprenderà il segreto della grande bellezza, qualcosa che va oltre tutto ciò che circonda i comuni esseri umani, ma che ha a che fare col loro lato immortale. 

Per un attimo afferrerà il significato della vera bellezza e del senso della vita:

“Finisce tutto così, con la morte. Prima però c’era la vita, nascosta dal bla bla bla incessante che adoperiamo solo per nascondere i nostri veri pensieri alla mente”

Di straforo vorrei sottolineare l’interessante confronto tra due figure di fede, il vescovo amante di cucina e “La Santa”, che vengono brillantemente contrapposte come portatrici di due fedi e stendardi diversi: la chiesa ricca che ha perso la fede e quella povera che la vive ogni giorno.

Non c’è altro da aggiungere, tutto il resto è da vedere.
Nomination per la Palma d’Oro, per il Nastro d’argento e per il Globo d’oro più che meritate.






Reviews: La mafia uccide solo d’estate

E’ difficile raccontare attraverso una macchina da presa eventi drammatici, sia personali che storici, senza scadere nella banalità o nel patetico (come oggi, al contrario, si usa fare perchè non ci sono poi tanti contenuti da trasmettere, sia nel cinema che in TV); così facendo regista e pubblico finirebbero per non vedere l’evento con sguardo critico, ma rimarrebbero avvolti da un’iniqua coltre di sentimentalismo che non li aiuterebbe a comprendere, paradossalmente, nemmeno i sentimenti di chi davvero li ha vissuti.

Ecco che il primo film di Pif riesce a superare tale ostacolo, come molti prima di lui: La scelta di Sophie (Pakula), La vita è bella (Benigni), Gomorra (Garrone), Il caso Mattei (Rosi) e tanti altri. C’è chi racconta la tragedia sotto forma di documentario, come Garrone o Rosi, chi tramite un film drammatico ma mai patetico (Pakula) e chi preferisce la commedia, come Benigni e Pif.

L’inizio e la fine del film sono riprese documentate tramite handycam dal protagonista in persona, sullo stesso stile su cui Pif ha imbastito il suo programma televisivo Il Testimone, delle puntate basate su interviste e sopralluoghi effettutati in prima persona con una semplice telecamera a mano.

Il corpo del film, invece, è girato ordinariamente con l’efficace intermezzo di filmati veri dell’epoca che contribuiscono a rendere ancora più realistica l’ambientazione della storia di Arturo in una Palermo che, insieme al percorso di crescita del suo protagonista, è contrassegnata da continui attentati mafiosi tra gli anni ’80 e ’90

L’idea di immaginare come un bambino potesse avere vissuto tutto il suo percorso di formazione in quegli anni bui della storia italiana, rende il film originale e imperniato di vero realismo; come un novello Rosso Malpelo verghiano, anche Arturo dovrà confrontarsi con i suoi eroi e i suoi antieroi, con la mentalità degli adulti, imparando a cambiare ideali e sperimentando in prima persona l’ipocrisia e la poca limpidezza che contrassegnano il mondo dei “grandi”.

E’ un racconto di formazione dentro la storia e la cultura palermitana. 
La storia d’amore con Flora è abbastanza scontata, ma è il motore che fa progredire il film: ogni azione di Arturo (al fine di conquistare quasi sempre Flora) si mescola casualmente con un’azione mafiosa che contrasta sempre i suoi piani (ad esempio l’esplosione del bar in cui è solito comprare ogni giorno un dolce per Flora). E’ proprio in questo modo che Arturo viene a contatto diretto con il mondo del crimine organizzato, attraverso degli eventi che riguardano la sua vita e il suo piccolo mondo di bambino, coinvolgendolo così in prima persona e determinando i suoi successi ed insuccessi amorosi.
Il secondo motore che lo spinge a partecipare attivamente alla storia a lui contemporanea è la sua passione per Andreotti, allora Presidente del Consiglio: anche lui da giovane aveva avuto gli stessi problemi di Arturo nel conquistare una ragazza, perciò chi meglio di lui avrebbe potuto aiutarlo?
E da questa banale osservazione, Arturo maturerà ben presto una consapevolezza nuova e adulta avendo la fortuna di intervistare il giudice Falcone per un concorso scolastico. 

Originale ed emblatica l’idea da cui deriva il titolo: Arturo si accorge che i grandi tendono a non parlare degli eventi mafiosi, fanno finta che il problema non si pone, e proprio da questo silenzio, figlio dell’indifferenza, maturano alcune domande ingenue ma pertinenti: “La mafia ucciderà anche noi?” “Tranquillo, ora siamo in inverno; la mafia uccide solo d’estate”.
Alcune scene sono ben congeniali al significato del film, come quando Arturo va al comizio di Andreotti, o quando intervista Falcone, oppure quando nel finale porta il figlio in giro per le vie di Palermo dove vengono ricordate le vittime della mafia (questa scena riprende in pieno i canoni stilistici de Il Testimone). 
Ne La mafia uccide solo d’estate non conta tanto la forma, nè il montaggio, nè la cura stilistica delle riprese, nè la colonna sonora (tutti questi elementi riecheggiano lo stile delle serie televisive); contano i contenuti e la tessitura della trama, l’idea di come la quotidianità di un bambino si intrecci alla quotidianità del mondo e della storia e come da essa venga influenzata. Questo è ciò che lo rende unico. 
Applausi a fine film in tutte le sale italiane.

 

Reviews: Super 8

Uniamo gli anni ’70 e ’80, tanto amati da J.J. Abrams in quanto hanno fatto da sfondo alla sua giovinezza e hanno influenzato il suo modo di “fare fantascienza”, con i lavori degli anni ’70 di Steven Spielberg (produttore di Super 8) E.T. e Incontri ravvicinati del terzo tipo, con le atmosfere cupe e misteriose di Lost e Alias (serie televisive di gramde successo da lui ideate e che rimandano alla filosofia di Abrams della Mistery Box, ovvero mistero su mistero su mistero per coinvolgere al massimo il pubblico) e con alcune scelte stilistiche già sperimentate in passato e che sono diventate la firma del regista, i lens flare, cioè i bagliori di luce: tutto questo è Super 8.
L’originalità del film è racchiusa nella prima parte, quella che precede e comprende il misterioso incidente di un treno che deraglia mentre un gruppo di amici pre adolesenti sta girando un film sugli zombie (dettaglio autobiografico del regista). Numerosi sono i rimandi alla giovinezza del regista e ai film di Spielberg in cui i protagonisti sono ragazzini con le loro biciclette, costretti a nascondersi dal corpo militare.
Tuttavia se nei film di Spielberg le creature extraterrestri sono amichevoli, in questo caso J.J. Abrams crea una creatura più vicina a quella di District 9 (2009) e ne abbraccia anche il tema di fondo, la diversità: come gli alieni di District 9 anche il mostro scappato dall’Area 51 e continuamente braccato dalla US Air Force è costretto a vivere sotto terra, incompreso, torturato, affamato, desideroso di ritornare a casa. 

In entrambi i film, e soprattutto in District 9 dove gli alieni vengono segregati in campi profughi sotto regime di apartheid, è forte il tema del razzismo e della paura di fronte al “diverso” da noi. 
Super 8 riesce bene a integrare gli elementi della fantascienza anni ’70 con quelli del genere attualizzato, conferendo alla pellicola uno spirito e un taglio personale a partire dalla buona recitazione dei giovani attori fino ad arrivare alle atmosfere da Mistery Box che più gli sono congeniali. 
Il film si perde e cade nel già visto al momento dello scioglimento della vicenda e del finale (alla fine l’alieno si accorge dell’animo puro del coraggioso Joseph e decide di risparmiarlo). Super 8 ha l’ambizione di essere un film d’autore, ma anche se non può essere definito tale, è una buona prova stilistica e un utile compendio di vari elementi che dagli anni ’70 ad oggi si sono susseguiti per rendere ancora più ricco di aspettative il genere fantascientifico.
 

 

Reviews: Miss Violence

Il titolo personificato è più che valido, perchè tutto ciò che ruota attorno alla famiglia di Angeliki, che il giorno del suo undicesimo compleanno decide di buttarsi dal balcone di casa, è dettato dalla violenza nei pensieri, nelle parole, nelle opere e nelle omissioni. Tralasciamo la Coppa Volpi e il Leone d’Argento vinti dal regista Alexandros Avranas al Festival di Venezia 2013 per concentrarci su molteplici aspetti discussi e discutibili di quest’opera seconda del regista greco. Alcuni hanno visto riflesso in questo film lo specchio della crisi economica che sta colpendo gravemente la Grecia; personalmente non scorgo la volontà di Avranas nel volere accennare specificamente al tema economico e politico, anche se sappiamo bene che ad una decadenza economico-sociale ne corrisponde una dei costumi morali, a causa della quale la fame di soldi e di sostentamento può portare le persone a compiere azioni socialmente inaccettabili (furto, omicidi, prostituzione).

Avranas dichiara: “Il film è tratto da una storia reale accaduta in Germania, tre volte più dura. Il cinema ha il dovere di rappresentare queste vicende, ma non può esagerare con la violenza, per evitare che lo spettatore abbia una reazione di chiusura e rifiuto nei confronti della storia”.
Il regista ha rispettato in parte questa sua dichiarazione. Se da una parte ha trattato sapientemente un tema così scabroso, per quasi tutto il film, con l’inserimento di metafore e silenzi coadiuvati dalle capacità interpretative degli attori, dall’altra non ha potuto fare a meno di gelare il pubblico con un’ultima doccia fredda di immagini cruente. Purtroppo questa sua scelta si è allontanata dai presupposti da cui era partito, ovvero quella di non esagerare con la violenza, al punto da provocare nel pubblico la reazione indesiderata di rifiuto. 

Questa è stata la pecca fondamentale del film, in quanto si sta parlando di una vera e propria tragedia edipica! Il pater familias ha abituato moglie, figlie e nipoti al regime del terrore, all’umiliazione, all’apatia, alla rassegnazione. In più all’inizio i ruoli parentali non sono ben definiti, non riusciamo subito a comprendere chi sia il padre, chi la madre, chi i figli di chi, se la più anziana del gruppo sia la nonna vedova: ciò testimonia l’intreccio e l’inganno in cui la famiglia è costretta a vivere. 
Torpore, ipocrisia e silenzio aleggiano in una famiglia che non può essere definita tale, semmai un covo di povertà morale da parte di chi tacce pur sapendo. La rassegnazione di tutti i protagonisti, meno che del pater-nonno, dà fastidio al pubblico, che trova patetico e inaccettabile il comportamento di timore reverenziale degli altri nei confronti del loro carnefice. 

Eppure se fin da bambino un individuo è educato all’obbedienza e al silenzio in un ambiente chiuso, privo di stimoli e senza un confronto esterno, egli non potrà che considerare accettabile e normale tale condizione inflittagli.
Le scelte stilistiche che più si confanno al clima di rigidità e freddezza che vuole adottare Avranas sono l’assenza di colonna sonora (vi sono solo i rumori di tv e stereo e di un inquietante e assai metaforico urlo di scimmie proveniente da un documentario amato dalla mater), il duplice atteggiamento del pater, remissivo e docile a lavoro, ossessivo e ipocrita in famiglia, determinato a portare a termine i suoi sporchi affari seppellendo a malincuore il ricordo di una vittima che non ha fatto in tempo a sfruttare.

Infine interessante è la metafora della porta: porte che si aprono e si chiudono, porte grigie, porte che non si aprono del tutto, porte e muri che coprono scene e altre che vengono smontate per fare finta che “nessuno ha da nascondere nulla in questa famiglia”, quando in realtà ci mettono davanti ad una realtà insopportabile. La porta avrà un ruolo fondamentale anche nella chiusa del film, volontariamente ambigua: “Il finale è a doppio senso” spiega Avranas: “Se nessuno decide di porre fine a questo circolo di violenza, esso continuerà”. Ma il finale può essere aperto a libera interpretazione: una porta che si chiude per non lasciare uscire Miss Violence da quelle mura domestiche o per seppellirla insieme a quella famiglia ormai condannata, in modo da non contaminare il resto del mondo.

Purtroppo la scelta discutibile adottata dal regista nell’inserire sequenze che avrebbe potuto risparmiare a beneficio del pubblico, già sconvolto di suo, testimonia una fastidiosa usanza che sta dilagando a macchia d’olio in tanti film in concorso, partendo da Cannes 2013, le cui opere hanno destato clamore e sdegno per le frequenti scene da censura presentate in quasi tutti i film in concorso. 
Come ci dimostrano i grandi registi del passato alle prese con temi scabrosi che il cinema, giustamente, non deve ignorare se vuole adempiere alla funzione sociale che gli compete, un film che lascia il segno non deve scadere nella banalità, ma deve raccontare in maniera originale il realismo e la tragedia. Già Aristotele nella Poetica rifiutava l’opsis, ovvero il fatto che una rappresentazione, per fare paura, dovesse ricorrere ad una messa in scena cruenta: per lui quella era una forma poco nobile di rappresentazione che denotava poche capacità nel tragediografo.
Oggi potremmo dire lo stesso dei registi che hanno trattato temi scabrosi (come la pedofilia) senza ricorrere all’opsis: Kubrick in Lolita, Fritz Lang ne M-Il mostro di Dusseldorf, Shanley ne Il dubbio, Mikkelsen ne Il sospetto, solo per citarne alcuni.